ROMA. Sotto la guida del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, deciso ad assumere la leadership in Medio Oriente, i Paesi aderenti all’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) riconoscono Gerusalemme est come «capitale dello stato della Palestina occupato», invitando il mondo a fare altrettanto e definendo «pericolosa», «illegittima» e «illegale» la decisione del presidente americano Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele. La soluzione, affermano nel documento che conclude il vertice straordinario di Istanbul, resta quella dei due Stati. La stessa ribadita nei giorni scorsi dall’inviato speciale dell’Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov e dal segretario generale Antonio Guterres, così come dall’Alto rappresentante dell’Unione europea Federica Mogherini, che hanno indicato la via di Gerusalemme «capitale di due Stati».
La contrarietà europea alla scelta americana, «una minaccia per la pace», dopo essere stata anticipata lunedì al premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la sua visita a Bruxelles sarà riconfermata dal summit dei leader Ue in programma oggi e domani. Lo status di Gerusalemme, per i 28, deve essere definito nell’ambito dei colloqui di pace. Ma i negoziati, già stagnanti, rischiano ora un ulteriore stop: «I palestinesi non accetteranno più alcun ruolo di mediazione degli Usa» dice il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, dichiarando di non riconoscere più gli accordi con Israele dal 1993 (Oslo) e accusando Trump di voler «regalare Gerusalemme a Israele».
«Un nuovo sponsor neutrale dovrà essere deciso nell’ambito dell’Onu. Oggi abbiamo mostrato l’unità del mondo islamico» afferma il presidente turco, che ringrazia tutti i capi di Stato e di governo che si sono opposti a Trump, «compreso il Papa» e definisce Israele uno Stato «occupante e terrorista». Parole che provocano la presa di distanza della Russia: «La posizione del leader turco non corrisponde alla nostra» si affretta a precisare davanti alle accuse mosse a Israele il Cremlino, che pure nei giorni scorsi aveva condannato il riconoscimento di Gerusalemme capitale da parte Usa.
Ma il fronte islamico, nonostante le dichiarazioni di Erdogan, non è compatto. Il presidente iraniano Hassan Rohani, che chiede «unità contro il pericolo sionista», lancia dal vertice di Istanbul un’accusa neppure troppo velata ai Paesi del Golfo, e in particolare all’Arabia Saudita, che guida il fronte anti-Teheran nel mondo musulmano e che, pur ribadendo «il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente con Gerusalemme come capitale» non è intenzionata a immolare l’alleanza con Usa sull’altare palestinese. Il re saudita, Salman, del resto, non partecipa al summit. E non è un caso che riceva l’invito del ministro israeliano dell’Intellicenge, Yisrael Katz, a visitare Israele e ad assumere il ruolo di mediatore per la pace. Trump, dal canto suo, conferma di «restare impegnato per la pace». Ma mentre anche il Guardiano delle Chiavi del Santo Sepolcro, Joudeh al-Husseini, annuncia il suo rifiuto a incontrare il vice presidente Usa Mike Pence, la Casa Bianca si fa più prudente. Lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, sottolinea il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, inizialmente indicato in sei mesi, potrebbe richiedere «almeno tre anni, o più».
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